fbpx

vita monastica / 1

Si dice: i tempi sono cattivi, sono tempi penosi.
Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni
I tempi siamo noi; come siamo noi, così sono i tempi.
S. AGOSTINO

Il nuovo millennio si è aperto carico di speranze e di timori, a 1500 anni da quando San Benedetto ha dato inizio alla VITA MONASTICA a Subiaco, diventa anche per i monaci un invito alla riflessione sul cammino che ancora ci attende, con lo sguardo puntato sul futuro, ma con il cuore saldamente ancorato alle origini.

La caduta di tante sicurezze, il disorientamento e la precarietà della situazione che tutta la vita religiosa sta sperimentando, possono essere per molti motivo di scoraggiamento, ma certamente la sofferenza di questi momenti può racchiudere dei semi di speranza. Anche i “tempi cattivi” (rif. EF 5,15) in cui stiamo vivendo possono diventare condizioni favorevoli per un risveglio o almeno per una riflessione che possa aiutare le comunità a cercare nuove risposte alle sfide poste dalle forze disgreganti che la nostra civiltà porta in sé e che la corrompono dall’interno.

Il nuovo millennio si è aperto dunque come tempo di ASCOLTO delle nuove domande e nell’atteggiamento di povertà di chi è ancora privo di vere risposte, perché solo la perseveranza nell’ascolto ci dispone a ricevere la consolazione di riconoscere nelle SCRITTURE quei segni di luce che svelano il volere di DIO (rif. RM 15,4) nel nostro quotidiano. E’ tempo di ASCOLTO, ma anche di DISCERNIMENTO sereno e responsabile perché quello che conta non consiste tanto nel fare in modo che le attuali strutture possano continuare senza interrompere il loro regolare funzionamento. Quello che conta è invece mettersi in ascolto delle domande vere, sapendo “AFFERRARE” coraggiosamente il reale perché il monachesimo non diventi un’ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà che ci aspettano. “Marginali” nella realtà sociale ed ecclesiale, ma non per questo meno solidali con gli uomini del nostro tempo, anche i monaci hanno bisogno di ri-pensare la loro vita. Non però a tavolino, in astratto, quasi “sublimando” la realtà, ma immergendosi nella vita e nella storia per continuare a essere portatori di una testimonianza di fede e di una vita evangelicamente eloquente.

In queste riflessioni cercheremo dunque di rileggere il presente della vita monastica italiana prestando ascolto alla cultura contemporanea, senza tuttavia la pretesa di voler presentare un’analisi esauriente né di offrire risposte prodigiose per garantire il futuro. Basterà aver posto degli interrogativi con l’intenzione di aprire qualche prospettiva per un approfondimento ulteriore.

Ci si può chiedere perché prestare attenzione alla cultura contemporanea, perché partire paradossalmente da quel “mondo” che in qualche modo i monaci si sono lasciati dietro le spalle entrando in monastero? Il motivo è che per una ri-lettura della nostra vita bisogna prendere coscienza della prospettiva nella quale ci collochiamo perché la nostra visione della vita monastica è inevitabilmente condizionata dall’ambiente culturale in cui viviamo; e cioè condizionata da quella “cultura” che anche noi, come tutti i nostri contemporanei, in qualche modo respiriamo. Sarebbe dunque un illusione credere di non esserne coinvolti, di non esserne toccati. Perciò, se non vogliamo subirne le conseguenze in un modo troppo ingenuo, ne dobbiamo prendere coscienza, dobbiamo essere consapevoli della crisi sociale e culturale che stiamo vivendo e che coinvolge non solo la vita ecclesiale in genere, ma anche la vita religiosa in quanto tale. Dobbiamo essere coscienti delle sfide che anche alle nostre comunità oggi si pongono, poter “ri-scegliere” consapevolmente la VIA proposta da SAN BENEDETTO e ri-proporre in modo adeguato quei VALORI PORTANTI che hanno caratterizzato la VITA MONASTICA di sempre.

Nella crisi che “questa nostra Italia sta vivendo”, una crisi che tocca ormai “non solo gli aspetti più appariscenti e immediati della civile convivenza, ma raggiunge i livelli più profondi della cultura e dell’ethos collettivo” (rif. Discorso tenuto il 23 novembre 1995 dal Beato Giovanni Paolo II al convegno Ecclesiale di Palermo), anche i monaci sono chiamati a guardare in faccia senza PAURA questa realtà perché la Chiesa non può vivere “concentrata sul MISTERO DI CRISTO” senza essere “insieme aperta al mondo” (rif. Ibid). Anzi, “la Chiesa è Chiesa soltanto nel mondo, vale a dire in quanto parte o aspetto del mondo, ed il mondo è mondo (…) solo in quanto “creato per mezzo di LUI e per LUI” (COL 1.17); in modo che le due entità non possano mai essere nettamente separate l’una dall’altra. (rif. H.U. VON BALTHASAR, “Incontrare Dio nel mondo odierno”, in Spiritus Creator, Brescia 1972 p.253)

Oggi dunque non sembra più possibile definire la vita monastica con le categorie della “fuga mundi”, usando in modo improprio o, peggio, banalizzando questa espressione cara agli antichi monaci, perché la “fuga mundi” non può essere una fuga dalla realtà, e neppure lo spazio innocuo che esima dalle proprie responsabilità e dalla disponibilità al dialogo con la cultura contemporanea. Dobbiamo dunque saper rileggere il panorama della svolta epocale della nostra cultura perché tocca direttamente anche a noi, chiamati a comunicare la nostra esperienza di DIO in questo trapasso generale. Anzi proprio in questo trapasso epocale siamo chiamati a comunicare una esperienza che pur mantenendosi inalterata nei suoi valori portanti, si deve far duttile e capace di dialogare con il nostro mondo e con l’uomo di oggi.

Sta qui la sfida che oggi si pone alla dimensione profetica e monastica.

Condividi