Che cosa manca a questo “fariseo” per cui va a casa sua perdendo la sua giustizia
- cioè la sua “santità”, la sua vicinanza a Dio -?
Che cosa ha fatto di tanto grave?
Qual è questa “intima presunzione” (che magari abita anche la nostra vita)?
Dobbiamo chiedercelo bene e non fermarci a dire banalmente che era presuntuoso!
O che abbia messo in primo piano l’io piuttosto che Dio – come ho letto in qualche commento.
Perché la preghiera del fariseo è perfetta: con autenticità riconosce che tutto viene da Dio.
Se egli è capace di non essere come quel pubblicano è perché il Signore lo aiuta!
Questa parabola ci fa vedere chiaramente quello che insegna san Paolo
e cioè che non siamo resi “santi” per le opere che compiamo, ma per la fede (Rm 3,21-28)!
Eh sì, ci risulta un po’ strano… abituati come siamo alla retorica che la fede non serve
che bastano le opere, essere “buoni” ecc. ecc.
Ora l’intima presunzione di cui parla san Luca – che è tradizionalmente discepolo di san Paolo –
è proprio questa idea che a farci avere un primo posto in paradiso saranno le opere cha facciamo!
Mentre, la parabola di oggi ci dice che l’unica cosa che conta è stare con verità davanti a Dio.
Anche se può sembrarci di essere ipocriti come il pubblicano che si comporta malissimo
ma non teme di andare a testa basta davanti a Dio e battersi il petto.
In questa luce di verità noi siamo sempre “debitori” davanti a Dio.
Dovremmo stare davanti a Lui non in piedi da persone contente di quello che fanno
ma dovremmo stare davanti a Lui sempre in ginocchio per chiedere perdono e misericordia.
Ci risulta strano quest’insegnamento evangelico
perché abbiamo paura di un modo passato di intendere questo come una mortificazione, una penitenza.
Mentre è la condizione essenziale per poter andare a Dio!
Proprio per questo nella nostra preghiera siamo spesso in ginocchio.
È Dio, semmai, che con la sua Parola ci rialza e ci consola.
È la forza dello Spirito, operante in noi, che ci permette di stare in piedi per lodare Dio.
È Gesù risorto che, quando scendiamo con Lui nei nostri inferi, ci risuscita a una vita nuova
e da peccatori ci conduce a diventare santi.
Ma oggi il Vangelo ci offre anche un piccolo criterio di verifica
se la nostra vita è davvero in questo cammino di santificazione, di redenzione.
Se, cioè, la viviamo con un intima presunzione di essere santi oppure no.
Questo criterio è il giudizio nei confronti degli altri.
Quando noi ci sentiamo migliori e disprezziamo – o peggio ancora, tolleriamo – gli altri
è un segno preoccupante, come lo è stato per il fariseo della parabola!
Quando, invece, come insegna sempre san Paolo, riteniamo gli altri migliori di noi (Fil 2,3)
allora siamo nella via giusta, nel cammino che il Signore ci mette davanti.
Così, oggi, guardiamo al nostro cuore
e impariamo non a stare orgogliosamente in piedi davanti al Signore,
ma lasciamo che lo Spirito Santo ci doni di restare in ginocchio davanti alla sua presenza!
Lasciamo che la verità della nostra distanza da Dio ci aiuti a ripetere le parole del pubblicano:
“O Dio, abbi pietà di me peccatore”
che è la vera sorgente della preghiera e della salvezza in noi!
O Spirito di verità, apri il nostro cuore
a saper guardare alle nostre infermità
liberaci dall’intima presunzione di poter essere santi
ma guidaci a saperci riconoscere peccatori
per accogliere il dono della fede nel Signore Gesù
e da Lui lasciarci rinnovare
sanare
guarire
e santificare!
Valledacqua,
27 ottobre 2019
XXX
domenica del tempo ordinario
Sir
35,15-17.20-22 Sal 33 2Tm 4,6-8.16-18 Lc 18,9-14